domenica 3 aprile 2011

L’uomo. Unità di psiche e soma, di Maria Cristina Caccia

La medicina psicosomatica considera la salute come un “armonico funzionamento dell’uomo, inteso nella sua unità di psiche e soma, inserito nel proprio ambiente, nel rispetto delle caratteristiche funzionali del corpo, dei suoi ritmi, dell’intensità e della sua capacità di autoregolazione, detta omeostasi”. Esisterebbe, dunque, un’intima interconnessione fra vita psichica e biologica, tesa a riscoprire la dimensione più intima e spirituale dell’individuo, fatta di emozioni, passioni, stati d’animo, vissuti depositati in quello spazio buio e inconscio che pulsa dentro di noi. Diventa, quindi, fondamentale comprendere che, dietro la malattia, esiste un “soggetto sofferente”, che ne disegna i contorni, li definisce, fino a immedesimarsi in quel dolore che, probabilmente, viene da molto lontano e ha una storia da raccontare.
Nel IV secolo a.C., Ippocrate, considerato il padre della medicina moderna, teorizzò l’esistenza di una fondamentale interrelazione tra corpo, mente e ambiente. Giunse a definire gli equilibri chimici e ormonali come “umori” in contrapposizione con le “passioni”, sostenendo che è necessario un  reciproco equilibrio, affinché gli uni non prevalgano sulle altre e viceversa, pena il verificarsi di alterazioni cagionevoli per il benessere del corpo.
Nel corso dei secoli, la medicina scientifica si è sempre più specializzata, fino a vantare scoperte importantissime per la cura e la prevenzione, in grado di salvare la vita a generazioni di persone, ma, questa corsa verso sperimentazioni sempre più sofisticate si è svolta a discapito della dimensione emozionale dell’uomo. Le “passioni” sono forze che vibrano dentro di noi, energia pura che alimenta i nostri stati d’animo, guida il nostro comportamento e il nostro modo di essere nel mondo. Le circostanze quotidiane, intrise di monotonia e, spesso, eccessiva superficialità, a lungo andare paralizzano la nostra spontaneità che teme di essere giudicata e, quindi, rifiutata, condannandosi alla solitudine. Per questo motivo, tendiamo a omologarci agli altri per non sentirci diversi e, quindi, più facilmente accettati. Così facendo, ci dimentichiamo di noi stessi.
L’anima si appesantisce, il respiro si accorcia e l’ossigeno circola tra gli organi vitali in maniera insufficiente. Qualcosa, dentro, inizia a cambiare e il nostro corpo sembra procedere in completa autonomia. Lo scollamento tra mente e fisico è riconducibile allo sganciarsi di un carro dal suo prode cavallo: senza guida, la traiettoria è perduta e quel carro è destinato a sbattere, prima o poi, e a spezzarsi. L’approccio psicosomatico suggerisce di dedicare più attenzione ai messaggi del corpo, che riflettono il nostro sentire più profondo. Ascoltiamo cosa ha da dirci.
Esistono dolori contro cui nulla possiamo e, che, per la loro stessa natura, difficilmente riusciremmo a vivere come espressione di un Io lacerato, ma un ritrovato rapporto con la propria interiorità, può rivelarsi un eccellente risorsa per non perdere mai il coraggio di guardare avanti e portare la vita in trionfo, contro l’irreversibile finitezza che ci appartiene dalla notte dei tempi.  

MariCri 

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