domenica 3 aprile 2011

I Guerrieri dell'Arcobaleno, di Barbara Nalin

Quattro ragazzi, una fata, un incantesimo e una profezia. I due fratellini Bianca e Lorenzo e gli amici inseparabili, Alessandro e Francesco, sono i predestinati Guerrieri dell’Arcobaleno. Dovranno affrontare prove difficili per liberare i sette colori e riportare la luce sulla Terra di Vallecolore e sul mondo, piombati in un eterno grigiore dopo la maledizione di Dora, la strega dai capelli viola. Aiutati dalla fata Galaadriel, i quattro ragazzi si trovano di fronte a un compito arduo, che li condurrà in luoghi lontani. Nella Terra tra i due fiumi, la Mesopotamia, alla ricerca del Meraviglioso Melograno, per rigenerare il colore rosso. Nel villaggio dei Sioux, a Bryce Canyon, per prendere il colibrì, l’uccello magico che vive nella landa indiana, e condurlo a Vallecolore, per far risplendere l’arancione. Infine, a Castel del Monte, dove è nascosto il prezioso Nautilus d’oro, dal quale sgorgherà di nuovo il colore giallo.
Magia e coraggio si intersecano, in un’avvincente sequenza di immagini, in cui il bene sfida il male e combatte contro la terribile donna dagli occhi infuocati. Un incastro di emozioni, paura e determinazione, forza e smarrimento, in cui anche l’amore diventa protagonista. L’affascinante e pericoloso Signore delle Tenebre confonde la mente di Bianca, entra nei suoi sogni, la spia, ma, allo stesso tempo, la ama. La Guerriera dell’Arcobaleno è confusa, contesa tra Francesco, follemente innamorato di lei, e Uriel, l’uomo senza tempo, spirito di uno spazio al di là degli umani confini. Un duello a morte interrompe il ritmo incalzante della scena, ma, purtroppo, non rimane molto tempo: è necessario portare a termine la missione, liberando gli ultimi quattro colori, prima che gli uomini e le creature fatate si perdano per sempre nell’oscurità.

MariCri

L’arte di comunicare …di Maria Cristina Caccia

“Non si può non comunicare”.

Sembra un concetto molto semplice, quasi scontato. Eppure, molti di noi, non ne considerano le conseguenze: il non aver espresso alcuna parola, significa soltanto “non aver emesso suoni vocali”, ma rientra, invece, in un vero e proprio comportamento comunicativo. Capita, in certe situazioni, di avvertire l’esigenza di “nascondersi” dietro ad un atteggiamento consideriamo “neutro e distaccato”, in realtà falliamo miserevolmente! Abbiamo,comunque, fatto una scelta: quella di non comunicare e, paradossalmente, la comunichiamo.

I nostri pensieri, gli atteggiamenti, la volontà, i desideri, le contrarietà, possono essere non espressi direttamente, ma ciò non ci difende dal rischio che qualcuno si accorga di loro, perché in un modo o nell’altro, trapelano all’esterno. In che modo? L’emotività, il suono e il tono della voce, i colori, la respirazione, la postura, la gestualità, la mimica, l’aspetto fisico, l’abbigliamento, un profumo, “parlano” un linguaggio misterioso, silente, ma tremendamente esplicito.

La sensorialità ci rappresenta molto più di una parola pronunciata senza consapevolezza, tenendo sempre in debito conto che non è necessario dire sempre tutto quello che si pensa, ma è necessario pensare tutto ciò che si dice. Il pensiero è energia e plasma l’espressività. Il corpo è dotato di un linguaggio che supera le barriere dei codici simbolici tradizionali, al di là di ogni fattore di disturbo: rimanda a un senso universale e, pertanto, comprensibile e immediato.
Un elemento imprescindibile del processo comunicativo è l’ascolto. Un grande comunicatore è, prima di tutto, un grande ascoltatore. La volontà di aprirsi all’altro e la curiosità di conoscere quello che ha da dirci sono due premesse fondamentali per instaurare una buona “empatia” (dal greco empatheia, significa “sentirsi dentro” ovverosia sensibilità nell’immedesimarsi nell’interlocutore, fino a coglierne i pensieri e gli stati d’animo). “Ed ecco il mio segreto, un segreto molto semplice: è soltanto con il cuore che si riesce a vedere correttamente; ciò che è essenziale è invisibile all’occhio”, (Antoine De Saint Exupéry).

Un comunicatore che non ascolta è come un giocatore di ping pong che non riesce a prendere la pallina quando gli viene ribattuta dall’avversario. La retorica classica definiva questo aspetto con termine pathos ovvero il sentimento: come dev’essere l’ascolto? In quanto riceventi, diamo prova di comprensione se ascoltiamo con rispetto, senza interrompere, senza giudicare né criticare, rivolgendo domande per dimostrare interesse per quanto ci è stato espresso. In quanto emittenti, ovverosia responsabili della comunicazione, dimostriamo comprensione se sappiamo utilizzare un linguaggio adatto all’interlocutore, preoccupandoci che il messaggio giunga in maniera chiara e adeguata.

Nella società attuale, l’incomunicabilità è un lusso che non possiamo permetterci: l’uomo è “un essere sociale” e, in quanto tale, non può isolarsi, pena la sua sopravvivenza fisica, mentale, e spirituale. Il confronto con l’altro è fondamentale per crescere, migliorarsi, arricchirsi e, soprattutto, conoscersi. “I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo”,(Ludwig Wittgenstein). Chiarezza espressiva, codice linguistico adeguato, tranquillità, sintesi, sicurezza interiore, autostima, sono elementi “fisiologici” fondamentali per comunicare in maniera adeguata, attenuando il rischio di malinteso e dubbio. Ansia, insicurezza, tono della voce costante, linguaggio inadeguato, eccessivo carisma, scarsa competenza della materia, sono alcuni dei peggiori nemici della comunicazione, considerati “fattori patologici”.

Lo studioso Paul Watzlawick sostiene che “in ogni comunicazione vi è un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione”, intendendo sottolineare che “una comunicazione non soltanto trasmette informazioni, ma, nello stesso tempo, impone un comportamento”. È sempre presente sia un messaggio di contenuto (la notizia, l’oggetto, i dati) sia un messaggio di relazione (le indicazioni, il comando/richiesta, l’empatia, l’ascolto). Jonathan Swift diceva: “Le parole giuste al posto giusto fanno la vera definizione di stile”. Spesso è molto più importante il “come” comunichiamo del “cosa”: un medesimo messaggio può essere trasmesso con modalità differenti e ottenere effetti differenti a parità di significato semantico.

Comprensione, cortesia, chiarezza, coraggio e coscienza sono le cinque dimensioni  della cosiddetta “pentacomunicazione”, un modello innovativo globale di comunicazione, il cui slogan è ben rappresentato da “la comunicazione a tutto tondo per una persona a tutto tondo: non c’è comunicazione senza l’aspetto psicologico e non vi è aspetto psicologico senza comunicazione.  “Quando lungo la via o nel mercato incontrate l’amico, lasciate che sia lo spirito a muovervi le labbra e a guidare la vostra lingua. Lasciate che la voce nella vostra voce parli all’orecchio del suo orecchio; la sua anima tratterrà la verità del vostro cuore così come si rammenta il sapore del vino”(Il Profeta, Khalil Gibran). 

Maria Cristina 

Quando l’anima si rivela, di Maria Cristina Caccia


La psiche parla attraverso il corpo

L’anima (psiche) si rivela attraverso le forme (morfo) e racconta qualcosa di noi. Il viso, in particolare, è un vero e proprio “libro aperto” sulla personalità di un individuo. In ogni epoca si è pensato che esistessero esatte corrispondenze tra la morfologia facciale e i tratti del carattere, ma soltanto grazie al dott. Louis Corman, nel 1937, dopo quasi 50 anni di studio dedicato alla materia, si sono scoperte le regole rigorose che governano tali legami, destinate a divenire le basi di una vera e propria scienza, denominata morfopsicologia[1]. Secondo il medico e psichiatra francese, i principi cardine che sottendono alle leggi della vita sono essenzialmente tre: mobilità, crescita e progressione. Tutto cambia, anche il nostro viso.

Ogni forma in movimento è il risultato di una spinta vitale che, proveniente dalle profondità, si scontra con l’ambiente esterno, adattandosi oppure ribellandosi. In questo gioco di forze, la materia si plasma. L’osservazione del volto si effettua sostanzialmente sulla base della fondamentale legge di dilatazione-ritrazione, analizzando il quadrato del volto (“grande viso”), i suoi recettori sensoriali (“piccolo viso”), il suo modellato, che ne definisce i contorni e la sua mimica espressiva. Lo studio valuta il rapporto tra il grande e il piccolo viso, laddove il primo rappresenta le riserve di vitalità proprie dell’organismo, la dimensione ancestrale (parte inconscia), mentre il secondo indica il modo in cui il soggetto reagisce agli stimoli che riceve, scambiando la propria energia nel manifestare il suo Io più intimo (parte conscia).

La personalità dei
  “Dilatati” è di segno positivo: apertura agli altri, facile adattamento, inteso come inserimento nel proprio ambiente d’origine, da cui difficilmente si allontanerebbero, così come non lascerebbero mai il gruppo sociale cui appartengono. Si adattano ai costumi del tempo e seguono la moda del giorno, passivamente, senza manifestare un gusto molto personale nelle scelte. Solitamente, preferiscono i colori al bianco e al nero, prediligendo il blu, il verde o il rosa; si comportano con familiarità e gesticolano molto, parlando. Non trattengono bene le emozioni, che dirompono, gioia e tristezza, collera o angoscia. Amano conversare, sono golosi e con un forte “istinto di nutrizione”.

I “Ritratti” sono agli antipodi dei Dilatati. Il viso è allungato, il modellato è irregolare, per l’alternanza di vuoti e pieni e per l’asimmetria, che, solitamente, caratterizza tali tipologie. I recettori sono stretti, e, spesso, si infossano (recettori “riparati”). L’espressione è contratta e tesa. Hanno una scarsa capacità di adattamento e prediligono “scegliere” l’ambiente in cui vivere ed esprimersi, incontrando difficoltà al di fuori di questo. Non è sempre facile capire cosa pensano, mentre, nei Dilatati, è molto più semplice interpretare l’emozione del momento. Vivono una dimensione tutta personale, con un forte dominio su di sé. In natura, non esistono forme pure di Dilatati e Ritratti, ma, piuttosto, forme “miste”: quadri dilatati, spesso, presentano recettori infossati o piccoli, così come modellati bozzuti e poco tonici, possono ospitare recettori grandi e ben definiti. Louis Corman ha scomposto, inoltre, il viso in tre piani orizzontali: superiore o cerebrale, all’altezza degli occhi, che fungono da collettore tra il sistema nervoso centrale e l’esterno; medio o affettivo, cui corrisponde il naso, con narici più o meno “vibranti”; inferiore o istintivo, che comprende la bocca, dalle dimensioni più o meno allargate o carnose.

La parte più espansa è quella predominante nell’individuo, rispetto alle altre: un piano cerebrale di maggiore estensione rispetto agli altri, significa che nel soggetto prevale la razionalità e, nella maggior parte dei casi, l’intuizione rispetto alla spontaneità e alla tendenza ad agire d’istinto, qualora il piano predominante fosse quello inferiore. Il corpo, anche secondo questa teoria, è posto al centro della conoscenza dell’uomo, quale punto d’osservazione privilegiato per cogliere la nostra storia individuale. Il profilo di un individuo si carica di significato e diventa, così, possibile “programmare” reazioni e risposte adeguate all’interlocutore con cui si interagisce quotidianamente. Tonicità o atonia, carni ondulate o zigomi sporgenti, disegnano contorni eloquenti.

Tutto si muove e tutto si trasforma ma non muore, come in una sorta di terrena eternità. L’essere vibra e lascia traccia di sé. E noi, guardandoci allo specchio, un giorno, potremmo vedere riflessa un’immagine che non ci assomiglia più, ma, se guardiamo, in fondo, dentro di noi, forse anche laggiù qualcosa è cambiato.

Maria Cristina



[1] (cfr. “Viso e carattere-Iniziazione alla morfopsicologia”, 2°ed.2003, di Louis Corman, ed.Mediterranee, Roma).

Feng Shui, l’arte di abitare…in armonia, di Maria Cristina Caccia

Secondo la tradizione d’Oriente, l’universo e tutte le creature, sono attraversati da un’energia, il Chi, un “soffio vitale” apportatore di benessere. Gli antichi saggi cinesi basavano le loro teorie sull’osservazione della natura e degli uomini, giungendo a sostenere che tutto cambia e cresce continuamente per l’interazione di due forze, che contraddistinguono il Chi: Yin, elemento femminile, passivo, scuro e negativo e Yang, elemento maschile, chiaro, attivo e positivo. Tali forze scorrono liberamente, attraverso “linee invisibili di energia”, presenti intorno a noi, e, in ognuno di noi, nei cosiddetti “meridiani corporei”. Ostacoli fisici, in natura, così come emozioni negative, interrompono questo libero fluire e favoriscono la presenza di cattivo Sha.
Su questo fondamentale principio, si è sviluppata, oltre 3000 anni fa, la dottrina del Feng Shui, secondo cui, il Chi circola all’interno dell’ambiente domestico, influenzando il nostro benessere. Ne consegue che la disposizione dell’arredamento, la direzione verso cui è rivolto un letto, la disposizione dei colori e gli ornamenti, giocano un ruolo decisivo nella creazione di un ambiente più o meno benefico. Il semplice spostamento di alcune sedie oppure di armadi o, ancora, cambiare il colore di una stanza, diventano gesti quasi necessari per facilitare il fluire del Chi e rendere l’ambiente più propizio a salute e buona sorte. L’ubicazione stessa dell’edificio riveste una notevole importanza: la vicinanza a montagne o a colline, la presenza di corsi d’acqua, con andamento più o meno tortuoso, incanalano o, al contrario, allontanano il flusso delle forze vitali sottili. Questa teoria, sui cui principi si basa la bioedilizia moderna, potrebbe sembrare fantasiosa, ma, in realtà, non lo è poi così tanto: non vi è mai capitato di provare una sensazione di rilassamento in una stanza della casa oppure, al contrario, di percepire uno strano disagio? Legno o marmo, colori caldi o colori freddi, tendaggi variopinti o monocolore, quadri o pareti vuote, la camera rivolta verso nord o verso sud, diventano scelte fondamentali, con effetti sensibili sul nostro stato d’animo. Un corridoio centrale che, dalla porta d’ingresso, si prolunga fino alla parte posteriore della casa, senza interruzioni, fino all’uscita sul retro, è sconsigliato dal Feng Shui, poiché tale disposizione favorisce l’ingresso dello Sha negativo e dissipa il Chi benefico. Molto incoraggiati, sono, invece, gli specchi che dovrebbero essere presenti all’interno della casa, in quanto permettono al Chi di proseguire lungo il suo corso, anziché neutralizzarsi negli angoli. Stanze senza specchi sono, addirittura, considerate “zone morte” e possono rivelarsi dannose per la salute degli abitanti. Attenzione alla collocazione del cancello di fronte alla casa: se posizionato in linea con la porta d’ingresso, disperde velocemente la fortuna. Se il salotto e la cucina occupano tutta la lunghezza della proprietà, con finestre su ciascuna estremità, il Chi si potrebbe disperdere, senza avere né il tempo né il modo di diffondere la sua energia vitale. Per quanto riguarda l’orientazione, il nord risulta essere di cattivo auspicio per la maggior parte delle stanze, fatta eccezione per il bagno e per il garage. E la luce?

L’ideale è dato dall’equilibrio di luminosità solare e artificiale, in linea con gli opposti  Yin e Yang. Una particolare cautela va riservata agli angoli: il Feng Shui consiglia di occuparli con mobili o cassettiere, vetrinette o vasi di fiori, in modo da arrotondare il perimetro della parete e favorire lo scorrere dell’energia, che, altrimenti, si neutralizzerebbe. Qualche suggerimento? L’ingresso principale dovrebbe essere rivolto a sud; la scala verso sud-est; la sala da pranzo verso est o sud-est, sud o sud-ovest; il salotto a ovest; lo studio a est oppure a ovest; la camera da letto a sud. Tutto ciò non vi corrisponde? Avete orientato in modo diverso la cucina? Non preoccupatevi, non sarete colti dalla sfortuna per i prossimi sette anni! L’arte di vivere in armonia è un valore aggiunto al modo di concepire la nostra casa: un luogo in cui rigenerare le proprie energie con un semplice cambio di ... prospettiva!


MariCri

Il mito di Facebook, di Maria Cristina Caccia


“Sei anche tu su Facebook?”

Quante volte ci siamo sentiti rivolgere l’ormai diffuso quesito! Essere presenti sul “libro delle facce” è quasi un “must”: o ci sei, o ci devi entrare!
Attivo già da qualche anno, sta assumendo sempre più i contorni di un vero e proprio fenomeno di massa: sono milioni gli utenti iscritti con un proprio profilo e uno spazio tutto per loro per comunicare, condividere idee, foto, immagini, esperienze. Un diario virtuale aperto soltanto ad amici e conoscenti con il permesso di “spiare”: se vieni “aggiunto” puoi accedere altrimenti sei “out”. Questa “vetrina” on-line dà modo alla creatività di esprimersi, rafforza l’egocentrismo e soddisfa, al tempo stesso, il bisogno di sentirsi parte di una comunità e il desiderio di estendere la rete delle proprie amicizie oltre a quello di rafforzare e, spesso, recuperare, quella esistente.
Da un punto di vista sociologico, il diffondersi della “società in rete” si contrappone ad un manifesto ripiegamento individuale e ad una evidente deferenza verso le istituzioni della società, denunciando quale peso acquistino fonti personali alternative di riferimento e reciproca influenza.
Si sottolinea l’importanza di un nuovo scenario che caratterizza il popolo del networking ovverosia quello della “raccomandazione sociale” e “dell’auto-aiuto”, costruito su un assioma molto semplice: gli utenti del web si fidano e affidano al gruppo, ne seguono indicazioni, consigli, chiedono, a loro volta, suggerimenti, per valutare e, spesso, scegliere. “Un terzo dei frequentatori europei di social network visita questi siti almeno una volta al giorno e il 41% più volte nel corso della settimana; quasi il 60% vi ricorre come strumento di relazione e di espressione di opinioni, punti di vista su temi di interesse specifico, mentre il 40% condivide tematiche di comune interesse”. (fonte, Microsoft Digital Advertisting Solutions).
La dottoressa Bruna Marzi, psicologa e psicoterapeuta, autrice di articoli pubblicati sulla rivista on-line “Scienza e Psicoanalisi”, in merito a questo “life style” sostiene che,
“..dietro alla spinta emotiva di apparire su Facebook, si nasconde una forte componente narcisistica, in un luogo in cui l’effetto reattivo dei sensi tipico di un incontro reale tra individui, lascia il posto all’astratto immaginario. La comunicazione virtuale riduce lo stimolo percettivo alla sola espressione scritta, privando la relazione di tutte quelle componenti sensoriali ed ambientali che caratterizzano la relazione oggettuale. L'assenza dell'oggetto dal campo percettivo agevola, nei soggetti predisposti, il ritiro della libido in senso narcisistico ed il conseguente investimento su un'immagine che assume le sembianze ora di ideale, ora di oggetto persecutorio.”
Il Direttore Editoriale della rivista “Scienza e Psicoanalisi”, il dottor Quirino Zangrilli, medico chirurgo, omeopata e psicoterapeuta ritiene che,
“..la comunicazione virtuale espone gli attori ad un transfert impregnato più di altri di idealizzazione. Il transfert, ovverosia la riedizione inconscia, più o meno mascherata, di precedenti schemi di azione-reazione, connessi a primitive esperienze traumatiche, si rende evidente nella comunicazione in Facebook”. Il medico consiglia di osservare attentamente le iniziali interazioni, soprattutto tra “nuovi” amici, laddove appare evidente una insolita e inusuale familiarità che non è facile ritrovare in un primo approccio conoscitivo “a tu per tu”. “I due attori della relazione” – prosegue il dottor Zangrilli -  “senza avvedersene, facendo leva su alcuni aspetti percettivi, anche subliminali, una foto, un modo lessicale di esprimersi, un luogo di residenza, la professione svolta, proiettano massicciamente sull’altro precedenti frammenti di esperienza”. Da ciò è facilmente desumibile come l’interazione transferale su Facebook sia incline a un processo di “idealizzazione” dal momento che fattori percettivi, quali l’estetica, l’odore, il tono la gradevolezza o meno della voce, lo sguardo, la gestualità, che, normalmente, concorrono a determinare un primo giudizio dell’altro, sul social network sono completamente assenti.

Ognuno tende a mostrare il meglio di sé: Facebook libera l’istinto e aiuta a mentire, se di questo si ha bisogno: capiterà, allora, che nessuno scriva di essere brutto, antipatico, insopportabile, iracondo, decantando, invece, i lati più belli del proprio aspetto fisico e mentale. Può succedere che l’insospettabile conformista si aggreghi a gruppi con cui non ha, apparentemente, nulla da spartire! Con lo stupore dei suoi “friends”. Questo, è uno spazio fantastico in cui è così facile nascondersi senza rimanere soli: su Facebook ci mostriamo ma, paradossalmente, e, a volte, fortunatamente, nessuno ci guarda!
La Facebookmania è cosa certa. La vita convulsa dei nostri tempi, frammentata dall’inumanità delle nostre città, ha lasciato sempre meno spazio all’interazione umana, piacevole e gratificante, che fino ad un paio di generazioni passate si svolgeva sulle piazze e nei bar.
Gli insicuri parlano e non si sentono ansiosi, i più timidi azzardano persino proposte d’amore, i più temerari lanciano sfide che odorano di videogame, i più creativi invitano ad unirsi ai fan club più strani.
Facebook traduce i nostri pensieri, offre loro uno spazio dove muoversi, li camuffa, li stravolge, li abbellisce, ma lì rimangono una volta scritti, quasi a lasciare traccia del nostro passaggio che, domani, potrebbe avere contorni differenti, ma allora correrà l’obbligo di aprire un commento sul proprio wall e di dire al mondo che qualcosa in noi è cambiato! Un piacere ma anche una faticaccia, a ben guardare!
Dialoghi a gran voce, dunque, sul “libro delle facce” e Tu, diventi un avatar che saluta con un inchino e fa “ciao ciao” con la mano: ma dove andremo a finire se non riusciamo nemmeno più a guardarci negli occhi?
MariCri 

IL FIUME DELLA VITA Romano Battaglia

Un viaggio per scoprire il senso della vita, lungo il sentiero impervio della montagna, nei luoghi della fanciullezza, fin lassù, dove nasce il fiume. “La vetta che voglio raggiungere è vicina, quasi ne percepisco il mistero. Si alza nell’azzurro come un gigante, quasi volesse ringraziare il Creatore”. 
Un percorso di purificazione che si protrarrà per tre giorni, in un altrove che oltrepassa i rumori della città, appesantita da un continuo rincorrersi di luci e frastuoni, di “…persone superficiali che non hanno nulla da dire..”.
Un’angoscia interiore cui l’autore vuole dare delle risposte, consapevole che, per trovarle, è necessario avere un cuore “puro”. “Quante visioni mi porta questa ascesa verso il fiume della vita. Quando raggiungerò la vetta una buona parte di me sarà purificata: solo così potrò ritornare sui miei passi”.
Un intimo pellegrinaggio dentro se stesso, durante il quale riaffiorano ricordi d’infanzia, immagini solleticate dall’odore della natura dintorno, che riporta l’autore ai giorni in cui giocava con il padre e viveva l’innocenza di quegli anni ormai trascorsi, impressi nella coscienza.
L’avvicinarsi al fiume nasce da un desiderio dirompente di rivivere la propria esistenza, un morire per rinascere
Un racconto intenso, intervallato da flashback personali, salti nella memoria di un uomo che nonostante abbia conosciuto fama e successo, avverte dentro di sé la presenza di una profonda conflittualità irrisolta e, contemporaneamente, un ritrovato desiderio di Verità. “Essere soli sotto un cielo di stelle nel chiarore di una notte di luna, lontani dal mondo e dalla vita di tutti i giorni, è essere di fronte alla nostra coscienza che chiede una prova di verità e di purezza”.
MariCri

Il soffio dell’anima …, di Maria Cristina Caccia

Nell’opinione comune, il respiro è semplicemente un atto meccanico e ripetitivo che permette all’uomo di sopravvivere. In realtà l’“alito vitale”, così definito dai grandi maestri d’Oriente, racchiude un significato simbolico, che rimanda a uno scambio continuo tra noi e ciò che ci circonda attraverso il ciclo inspirazione/espirazione. L’armonia del ritmo respiratorio sottende a una inconscia volontà di “accogliere” la vita in tutte le sue manifestazioni. È un atto di condivisione reciproca con l’energia che permea noi stessi e l’universo. Contrariamente, un ritmo respiratorio bloccato e affannoso nasconde una evidente difficoltà ad accettare la realtà e le esperienze nel loro divenire, proiezione di un radicato disagio emotivo. Il respiro tradisce, dunque, il nostro stato d’animo: un ritmo lento e controllato proietta uno stato di benessere e di tranquillità interiore; un ritmo accelerato e scoordinato intercetta stati emozionali negativi, quali ansia, paura, angoscia. Secondo la concezione “olistica” dell’uomo, mente e corpo sono connessi in una unità inscindibile: pensiero e sentimento condizionano in modo tangibile lo stato di salute dell’organismo. Il respiro veicola il “prana” lungo i “meridiani” o canali energetici immaginari che scorrono lungo il “soma” e il suo libero fluire è condizione fondamentale per preservare il corpo dalla “malattia”. Eventi stressanti generano a lungo andare veri e propri “vuoti energetici” che indeboliscono l’organismo e lo espongono a patologie. La tradizione orientale propone diverse tecniche per migliorare gli esercizi respiratori essenziali per la crescita spirituale dell’individuo e, soprattutto, per la riscoperta di un nuovo equilibrio interiore che scaturisce dalle infinite potenzialità presenti in ognuno di noi. La respirazione circolare, praticata senza pause tra la fase di inspirazione e quella di espirazione, sia attraverso la bocca sia per via nasale, è alla base della tecnica del rebirthing communication. Si propone come obiettivo quello di sciogliere “nodi” emotivi annidati nel profondo di noi stessi che ci impediscono di vivere serenamente le nostre relazioni. La respirazione primordiale è considerata una “scienza” del controllo del respiro messa a punto dagli yogi e dalla medicina tradizionale cinese. Nata come mezzo per raggiungere l’illuminazione, mira a recuperare la respirazione ancestrale dell’individuo. Il respiro completo è una tecnica di respirazione propria dello Yoga tesa a sviluppare il controllo della triplice funzione del respiro, ossia inalazione, ritenzione ed espirazione, prima fase per il raggiungimento della “liberazione” dai vincoli materiali.
“Respira che ti passa!” non è poi un’esclamazione di fantasia.
Nei momenti più difficili, quando senti un nodo in gola che non scende, fermati un istante e controlla il tuo diaframma: inspira ed espira profondamente. Ti sentirai più rilassato, i tuoi pensieri diverranno più nitidi e sarai in grado di cogliere la risposta che cercavi e che distrattamente stavi ingoiando tutto d’un fiato.

MariCri 

L’Alchimista di Paolo Coelho

Santiago è un giovane pastore Andaluso che, fin da bambino, coltiva un profondo desiderio di viaggiare. Il padre, un giorno, gli diede la sua benedizione: “…fra di noi, soltanto i pastori viaggiano. Compra il tuo gregge e va per il mondo”. Un sogno ricorrente lo accompagnava da qualche tempo e, in occasione di un viaggio che lo avrebbe condotto a Tarifa, si recò dalla zingara, conosciuta per la sua capacità di interpretare i messaggi onirici.“È un sogno che appartiene al Linguaggio del Mondo”, gli disse. “..devi andare fino alle Piramidi d’Egitto. Là troverai un tesoro che ti farà ricco”.  Come avrebbe fatto a raggiungere l’Africa? Stava per abbandonare l’idea, quando un vecchio gli si avvicinò: Melchisedek, il re di Salem, che gli parlò della Leggenda Personale: “È quello che hai sempre desiderato fare”, gli disse. “Tutti, all’inizio della gioventù, sanno qual è la propria Leggenda Personale …poi, a mano a mano che il tempo passa, una misteriosa forza comincia a tentare di dimostrare come sia impossibile realizzare la Leggenda Personale…”; “…chiunque tu sia o qualunque cosa tu faccia, quando desideri una cosa con volontà, è perché questo desiderio è nato nell’anima dell’Universo. Quella cosa rappresenta la Tua missione sulla Terra. Realizzare la propria Leggenda Personale è il solo dovere degli uomini. Tutto è una cosa sola. E quando desideri qualcosa, tutto l’Universo cospira affinché tu realizzi il tuo desiderio”. Parole importanti, che parlano dei segni che costellano il nostro quotidiano cammino, allineati alle più intime aspirazioni, spesso, però, dimenticate in qualche angolo del nostro più intimo sentire o, semplicemente, tralasciate per paura di quello che potrebbero raccontarci e che, forse, metterebbe in crisi le nostre certezze o presunte tali. In natura esiste un Linguaggio Universale che solo pochi riescono a cogliere. Il viaggio verso l’Egitto e l’incontro con l’Alchimista, rappresentano l’itinerario iniziatico di Santiago e lo aiuteranno a connettersi con l’Anima del Mondo. Una meta cui non poteva sottrarsi, perché proveniva da un profondo desiderio di conoscenza. “Ma non dimenticare che il tuo cuore si trova là, dove si trova il tuo tesoro. Ed è necessario che il tuo tesoro sia ritrovato, affinché tutto ciò che hai scoperto durante il cammino possa avere un significato”. Così gli parlò il misterioso Cavaliere nero del deserto.
Giunto a pochi passi dalle Piramidi, Santiago imparerà a parlare con l’Amore e con il Vento, con la Sabbia e con le Creature del deserto. Si sentirà in totale sintonia con tutto ciò che lo circonda. Le sue pecore avrebbero potuto dargli felicità; Fatima, la donna del deserto, di cui egli si innamorò, l’avrebbe amato, ma lui avrebbe soltanto messo a tacere quella voce che, prima o poi, si sarebbe ripresentata. Il vero miraggio è il raggiungimento di una concordanza totale con il mondo, grazie alla comprensione dei “segni” che il destino distribuisce intorno a noi, visibili soltanto nel momento in cui scegliamo di ascoltare quello che ci sussurra il nostro cuore. Una bellissima favola, per rivelarci una grande verità: ciò che vogliamo veramente vive in noi. Dobbiamo crederci fino in fondo e provare a realizzarlo. Un susseguirsi di eventi, incontri, conoscenze, così come ostacoli e difficoltà costituiranno le tappe per arrivare vicino al “tesoro”. Il nostro destino si rivelerà agli occhi dell’anima e ci prenderà per mano, dando nutrimento a quel vuoto che immancabilmente percepiamo, quando ignoriamo i messaggi della nostra Leggenda Personale: questa è la vera alchimia.

MariCri 

IL PROFETA, "Parlaci dell'amore.", Kahlil Gibran

Disse allora Almitra: “Parlaci dell’Amore”.
“Quando l’amore vi chiama, seguitelo, sebbene le sue vie siano difficili ed erte. E quando vi avvolge con le sue ali, cedetegli, anche se la lama nascosta tra le piume potrà ferirvi. Quando vi parla, credetegli, sebbene la sua voce possa frantumare i vostri sogni così come il vento del nord arreca scompiglio al giardino”.
Innamorarsi è abbandonarsi a una dolce melodia che inebria i sensi. Tutto intorno appare diverso, pervaso da una nuova luce. I colori della natura si fanno più nitidi e il tempo pare arrestarsi. L’amore arriva senza preavviso; rapisce la sua vittima, la possiede e ne diventa lo spirito guida. Indimenticabili le notti e interminabili i giorni, vissuti attimo dopo attimo. Un sogno che non finisce mai. Prima o poi il risveglio ci riporta a una dimensione più terrena. Per amore si può, dunque, soffrire?Ahimè, la risposta è sì e la sofferenza è tanto più grande quanto più profondo è il sentimento da cui promana. Le pene d’amore sono le più sanguinanti. “Poiché nel mentre che l’amore vi incorona, così vi crocefigge. Mentre vi accresce, così vi taglia per potarvi. Mentre ascende alle vostre altezze e carezza i vostri più teneri rami palpitanti al sole, così penetra fino alle vostre radici scuotendole nel loro abbraccio alla terra. V’impasta perché siete cedevoli e, poi, vi consegna al suo sacro fuoco, così che possiate diventare pane sacro per la sacra mensa di Dio”. Amare è come immolarsi a una divinità: chini, di fronte all’icona, ci doniamo completamente, disposti a fare qualsiasi cosa in Suo nome, paladini di un sentimento che rasenta la follia. Potremmo impazzire al solo pensiero di esserne privati all’improvviso. Attraverso l’amore, incontriamo noi stessi e il dialogo con la nostra voce interiore ci sorprende, perché i pensieri e i desideri che scaturiscono da tale gioia sono gocce di infinito. “Tutto questo provocherà l’amore in voi, affinché possiate conoscere i segreti del vostro cuore, e per questa conoscenza divenire un frammento del cuore della Vita”. Amare è lasciarsi trastullare dalle onde, fintanto che non arriverà il vento e la tempesta sovrasterà il cielo azzurro. Un alternarsi di sole e nuvole, un incrociarsi di quiete e turbolenze. “Ma se, timorosi, nell’amore cercate soltanto la tranquillità e il suo piacere, allora meglio per voi che ricopriate le vostre nudità allontanandovi dall’aia dell’amore. Nel mondo senza stagioni dove riderete, ma non tutte le vostre risa, e piangerete, ma non tutte le vostre lagrime. L’amore nulla dà se non se stesso e nulla prende se non da se stesso. L’amore non possiede né vuole essere posseduto”. Emozionarsi per il semplice piacere di vivere, innamorati e felici per la voglia di dare senza fine alcuno, completamente in balìa di uno slancio d’animo che ricama il profilo del nostro presente. “E non pensate di poter dirigere il corso dell’amore giacché, se vi trova degni è l’amore che dirige il vostro corso. L’amore non desidera che appagare se stesso”. Godiamo dell’amore per tutto quello che rappresenta e abbandoniamoci, semplicemente, al suo volere. “E poi assopirsi con una preghiera per l’amato in cuore e sulle labbra un cantico di lode.”


MariCri

L’uomo. Unità di psiche e soma, di Maria Cristina Caccia

La medicina psicosomatica considera la salute come un “armonico funzionamento dell’uomo, inteso nella sua unità di psiche e soma, inserito nel proprio ambiente, nel rispetto delle caratteristiche funzionali del corpo, dei suoi ritmi, dell’intensità e della sua capacità di autoregolazione, detta omeostasi”. Esisterebbe, dunque, un’intima interconnessione fra vita psichica e biologica, tesa a riscoprire la dimensione più intima e spirituale dell’individuo, fatta di emozioni, passioni, stati d’animo, vissuti depositati in quello spazio buio e inconscio che pulsa dentro di noi. Diventa, quindi, fondamentale comprendere che, dietro la malattia, esiste un “soggetto sofferente”, che ne disegna i contorni, li definisce, fino a immedesimarsi in quel dolore che, probabilmente, viene da molto lontano e ha una storia da raccontare.
Nel IV secolo a.C., Ippocrate, considerato il padre della medicina moderna, teorizzò l’esistenza di una fondamentale interrelazione tra corpo, mente e ambiente. Giunse a definire gli equilibri chimici e ormonali come “umori” in contrapposizione con le “passioni”, sostenendo che è necessario un  reciproco equilibrio, affinché gli uni non prevalgano sulle altre e viceversa, pena il verificarsi di alterazioni cagionevoli per il benessere del corpo.
Nel corso dei secoli, la medicina scientifica si è sempre più specializzata, fino a vantare scoperte importantissime per la cura e la prevenzione, in grado di salvare la vita a generazioni di persone, ma, questa corsa verso sperimentazioni sempre più sofisticate si è svolta a discapito della dimensione emozionale dell’uomo. Le “passioni” sono forze che vibrano dentro di noi, energia pura che alimenta i nostri stati d’animo, guida il nostro comportamento e il nostro modo di essere nel mondo. Le circostanze quotidiane, intrise di monotonia e, spesso, eccessiva superficialità, a lungo andare paralizzano la nostra spontaneità che teme di essere giudicata e, quindi, rifiutata, condannandosi alla solitudine. Per questo motivo, tendiamo a omologarci agli altri per non sentirci diversi e, quindi, più facilmente accettati. Così facendo, ci dimentichiamo di noi stessi.
L’anima si appesantisce, il respiro si accorcia e l’ossigeno circola tra gli organi vitali in maniera insufficiente. Qualcosa, dentro, inizia a cambiare e il nostro corpo sembra procedere in completa autonomia. Lo scollamento tra mente e fisico è riconducibile allo sganciarsi di un carro dal suo prode cavallo: senza guida, la traiettoria è perduta e quel carro è destinato a sbattere, prima o poi, e a spezzarsi. L’approccio psicosomatico suggerisce di dedicare più attenzione ai messaggi del corpo, che riflettono il nostro sentire più profondo. Ascoltiamo cosa ha da dirci.
Esistono dolori contro cui nulla possiamo e, che, per la loro stessa natura, difficilmente riusciremmo a vivere come espressione di un Io lacerato, ma un ritrovato rapporto con la propria interiorità, può rivelarsi un eccellente risorsa per non perdere mai il coraggio di guardare avanti e portare la vita in trionfo, contro l’irreversibile finitezza che ci appartiene dalla notte dei tempi.  

MariCri 

Uscire dalla paura Rompere l’identificazione con il bambino emozionale, (Krishnananda) - di Maria Cristina Caccia

E se fossimo diversi? 

Non vi è mai capitato di pensare che, forse, molti dei nostri atteggiamenti riflettono condizionamenti subiti durante l’infanzia e interiorizzati nella parte più profonda di ognuno di voi? Come agiscono tali influenze sul nostro modo di essere, di vivere, di affrontare le varie situazioni che, giorno dopo giorno, si presentano più o meno difficili, più o meno comprensibili? Thomas Trobe, in arte Krishnananda, uno psichiatra americano, ci guida all’interno di questa interessante esplorazione di se stessi, rivelandoci che, dentro di noi esiste un “bambino emozionale” ferito e spaventato con cui è necessario confrontarsi per capire quali e quante ferite porta con sé, superarle e raggiungere uno stato di quiete e di equilibrio interiore. 

Tanto maggiore è l’identificazione con i traumi e le ferite del nostro “bambino”, che sfuggono al nostro controllo e creano un’immagine “deviata” di noi stessi, tanto più ci convinciamo di essere realmente quello che il “bambino emozionale”, in realtà, ci induce a sperimentare, pensare, credere. Esso rappresenta uno spazio interiore fatto di antiche paure, vergogna e insicurezza, bisogno e vuoto, angoscia, sfiducia e rabbia. A ognuna di queste emozioni è associata una determinata risposta comportamentale, ovverosia reazione e controllo, aspettative e pretese, compromesso, assuefazione e pensiero magico. “Identificati” in questo “spazio” reagiamo in maniera automatica agli eventi della vita, agli atteggiamenti degli altri; dallo stimolo passiamo subito alla reazione in maniera quasi compulsiva, senza riflettere.

Il “bambino” è impaziente, spaventato, incapace di contenere le emozioni più intense, la rabbia, la pressione del mondo esterno: è una miccia pronta ad “esplodere”. In balia di questa energia, reagiamo, dunque, perché ci sentiamo minacciati, per soddisfare i nostri bisogni oppure per contrastare la sensazione di non essere amati o accettati. Il “bambino ferito” nutre aspettative su di sé e sugli altri, pensa di dover essere liberato o salvato da qualcuno…del resto, in questo stato di insicurezza e impotenza, cos’altro potrebbe pensare per sentirsi al sicuro? In questa condizione mentale, di vergogna e paura, rischiamo di cedere al compromesso: siamo spaventati dal fatto di essere rifiutati, temiamo il giudizio degli altri, percepiti come migliori di noi, così perdiamo il contatto con il nostro “centro”, con la forza interiore che non “ascoltiamo”.

Come uscirne? Con la consapevolezza. Con la lucida presa di coscienza che esiste questo “infante” laddove la coscienza diventa oscurità, che fa il bello e il cattivo tempo, scalpita e un attimo dopo giudica, nutre il rimorso e il senso di colpa e frena l’agire della nostra reale personalità. Impareremo che è fondamentale “accogliere” ogni tipo di emozione, senza negarla o giudicarla, come farebbe il “bambino”, senza alcun bisogno di lottare per eliminarla o reprimerla.

Il vero cambiamento deve avvenire in noi. Riusciremo a costruire relazioni più consapevoli, basate su affettività più autentiche. Affrontare la vita con maggiore lucidità per capire chi siamo e dove vogliamo andare è un grande compito che richiede impegno e dedizione e, soprattutto, tempo. Dobbiamo interiorizzare il fatto che siamo sostanzialmente soli, quindi tutto ciò di cui abbiamo bisogno lo troviamo dentro di noi, laddove l’anima nel silenzio interiore riconosce di essere unica e speciale. Ciò che conta è il naturale dispiegarsi delle nostre qualità: dobbiamo ritrovare il nostro centro, entrando in un dialogo profondo e infinito con noi stessi per far crescere quel “bambino incontrollabile” e renderlo finalmente un adulto, irripetibile e meravigliosamente libero. 

MariCri 

L’AMICIZIA Il Profeta, Khalil Gibran

Radunati attorno al Maestro, gli uomini di Orfalese chiesero: “Parlaci dell’Amicizia”.
“L’amico è risposta al vostro bisogno. È il campo che seminate con amore e che mietete con riconoscenza. È la vostra mensa e il vostro focolare. Poiché a lui venite nella fame, e lui cercate per trarne pace. Quando l’amico confida a voi il suo pensiero non trattenete l’assenso della vostra mente né risparmiategli il dissenso. E quand’è silente il vostro cuore non cessi di ascoltare il suo; Poiché è senza parole che nell’amicizia ogni pensiero, ogni desiderio, ogni speranza nascono e sono condivisi in silenziosa gioia.
La condivisione è il segreto di ogni vera amicizia. È il luogo della reciproca fiducia, fondata su un rapporto incondizionato di dare e avere, laddove l’anima può chiudere gli occhi senza timore di essere tradita. È un giaciglio comodo e rassicurante, dove gioie e dolori si incontrano e dialogano, le une per alimentarsi, gli altri per disperdersi, a poco a poco. “Quando vi separate dall’amico, non ci sia dolore; Poiché ciò che in lui più amate v’apparirà più chiaro nell’assenza, così come per lo scalatore la montagna più netta appare della pianura. Non ci siano altri intenti nell’amicizia se non l’approfondimento dello spirito. Poiché l’amore che non cerca unicamente di spiegare se stesso non è amore, ma una rete lanciata innanzi: in essa s’imprigiona solo ciò che non ha valore. E che il meglio di voi sia per l’amico”.
Né secondi fini, né astuzie. L’amicizia è lo specchio terso di un ruscello; è l’acqua di un pozzo incontaminato; è una sorgente in piena montagna; è uno spazio dove il tempo si annulla e rimane soltanto un alito di vento impercettibile, ma vivo, culla di emozioni confessate e libere di volteggiare senza dubbi né timore alcuno. “E nella dolcezza dell’amicizia ci siano risa, e la condivisione dei piaceri. È nella rugiada delle piccole cose che il cuore trova il suo mattino e si rinnova”. L’amicizia sgorga dalla semplicità di gesti concreti, da uno sguardo lanciato nel vuoto e impresso nella memoria di colui che osserva con la voglia di vedere al di là dell’apparenza, per il solo desiderio di conoscere e capire, senza pretese. L’amicizia con la “A” maiuscola non ha veli d’ipocrisia sotto cui nascondersi, pertanto se conduce alla lite in nome della verità, la si assecondi: dopo la tempesta, l’arcobaleno si concede al piacere dei nostri occhi e porta con sé un messaggio di pace e di attesa. L’amicizia è un grande dono da offrire a chi lo sa apprezzare e ne sa cogliere le sfumature più sottili, consapevole che, per conservarlo, sacrificio e dedizione non possono mai mancare, perché l’amicizia, quella vera, va coltivata giorno dopo giorno, in un presente senza confini, come una piccola goccia di eternità.


MariCri

Un cuore pulito Romano Battaglia

Un cuore pulito
Romano Battaglia

“C’è un luogo dove la pace della natura filtra in noi come la luce del sole tra gli alberi. Dove i venti ci comunicano la loro forza e gli affanni si staccano da noi come foglie. Non è difficile arrivarci: basta guardarsi dentro ed avere un cuore pulito”. Sette giorni di ritiro in un monastero, un’esperienza vissuta come un dono di pace e di rivelazioni, in contrasto con l’aridità di un cuore logorato dalla nevrosi della modernità. Solitudine e silenzio acquietano le intime turbolenze e regalano emozioni senza tempo, nella percezione dell’armonia dell’universo intorno a noi, così che l’anima si apre alla gratitudine per le meraviglie del Creato. Soltanto l’innocenza di un “cuore pulito” può scorgere oltre il confine, là dove l’uomo si inginocchia di fronte al mistero della fede. “Sono stanco, il mio slancio vitale si è affievolito come una candela che, consumatasi lentamente, non dà più luce” [omissis]. Una pausa tra i tanti suoni che stordiscono, un distacco totale per riposare, ritrovare se stesso e annullare l’eco delle sue profonde incertezze. “Devo trovare quella parte di me che da troppo tempo è indebolita dagli avvenimenti della vita, da quel peso che ci portiamo dentro e che ci impedisce di essere spontanei con noi stessi e con gli altri”. L’incontro con Dominique La Salle, un padre francese, molto anziano, dalla schiena ricurva e con un viso scarno, incorniciato da lunghi capelli bianchi, è scandito da insegnamenti e racconti di un uomo che, un tempo, visse le sregolatezze terrene, e, poi, un giorno, incontrò Dio e quella luce, per lui, fu l’inizio di un nuovo cammino. “Non ti sei mai domandato chi c’è dietro a questo miracolo che rende la nostra vita possibile e concede a tutti noi la forza e l’opportunità di rinascere dal nulla? Quel «nulla capace di Dio» che deve indurci a credere che sino all’ultimo istante della nostra esistenza c’è speranza”. [omissis].“Ciascuno di noi può cambiare la propria vita anche nell’ultimo istante. Il momento estremo è come una pagina bianca da riscrivere, da correggere, da cambiare”. L’autore è alla ricerca di un nuovo senso con cui colorare il suo quotidiano esistere e, nelle parole rassicuranti del saggio monaco, ritrova quella forza interiore che credeva, ormai, perduta, soffocata da dubbi e timori. Un percorso spirituale che culmina in una lucida presa di coscienza:“In questo monastero ho ritrovato la forza e la speranza che mi erano venute meno. In questo giardino del paradiso anche la mia pianta è tornata a fiorire”.  
Una ritrovata maturità, intrecciata di ricordi e di piacevoli illuminazioni, che rischiarano l’intricato groviglio di pensieri e riportano il narratore a una primigenia dimensione d’ingenuità e purezza.
Ognuno ha un bambino dentro di sé che cresce con lui. Il tuo, invece, non è diventato adulto perché non glielo hai mai consentito. Adesso lui cerca di ritrovarti: è bene che tu lo faccia giocare, altrimenti si perderà un’altra volta”. 

MariCri 

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